OFFESE ED INSULTI RICEVUTI VIA WHATSAPP: INGIURIA O DIFFAMAZIONE?

Corte di Cassazione, Va Sez. Penale, sentenza n. 28675/2022

Il dubbio è stato chiarito da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che la diffusione di messaggi che ledono la reputazione di un soggetto, inviati nelle chat di gruppo, configura il reato di diffamazione e non già l’ingiuria.

La differenza tra l’esatto inquadramento della fattispecie è di rilevante importanza in quanto la diffamazione è un reato previsto e punito dall’art. 595 c.p. e procedibile a querela, l’ingiuria, invece, è stato derubricata dal D.Lgs. n. 7/2016 ad illecito civile e, di fatto, è penalmente irrilevante.

L’art. 595 c.p., ai fini di configurare il reato di diffamazione, richiede che l’offesa sia pronunciata dal soggetto attivo in assenza della vittima ed innanzi ad almeno due persone. L’ingiuria, invece, deve essere rivolta direttamente alla vittima, in un colloquio a due, a prescindere dalla presenza di altri soggetti. Entrambe le menzionate condotte possono verificarsi anche mediante l’utilizzo di mezzi telematici che consentono anche ad altri utenti di poter leggere le offese.

Nella sentenza in esame gli Ermellini hanno ribadito un ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione (Cfr. Cass. Sentenza n. 13252/2021), secondo cui la persona offesa, destinataria anch’essa dei messaggi vocali e di testo e dei video inviati in un gruppo WhatsApp, non può essere considerata “presente” alla luce dell’impossibilità di recepimento delle offese in tempo reale da parte di tutti i destinatari (in tal senso, v. anche Cass. Sentenza n. 18919/2016). La Corte di Cassazione, difatti, rileva che la ricezione da parte di tutti i destinatari può avvenire “(…) immediatamente o in tempi differiti a seconda dell’efficienza del collegamento ad internet del terminale su cui l’applicazione viene da loro utilizzata (…)”.

La presenza della persona offesa deve essere accertata nel caso concreto, prendendo in considerazione entrambi i dati: tecnico, ovverosia l’effettiva contestualità della ricezione del messaggio e soggettivo, legato all’effettiva percezione dell’offesa da parte del destinatario.

Pertanto, ogni qual volta i messaggi lesivi della reputazione siano ricevuti in tempi differenti dall’offeso e dalle altre persone, che non possano essere considerate contestualmente “presenti” nemmeno tramite i moderni mezzi sostanzialmente equiparabili alla presenza fisica, ricorreranno i presupposti della diffamazione. 

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VOLO CANCELLATO: NESSUNA COMPENSAZIONE PECUNIARIA PER UN PROBLEMA AL SISTEMA DI RIFORNIMENTO GENERALE DELL’AEROPORTO.

Corte di Giustizia Ue, sentenza del 7 luglio 2022 (C308/21)

Al fine di inquadrare al meglio la fattispecie in esame occorre richiamare quanto disposto dall’art. 5, paragrafo 1, lettera c), del Regolamento CE n. 261/2004, il quale prevede che, quando un volo venga cancellato o lo stesso subisca un ritardo pari o superiore a tre ore, senza che i passeggeri siano stati adeguatamente informati, gli stessi godono del diritto a una compensazione pecuniaria a norma dell’art. 7 del Regolamento CE n. 261/2004 (che varia da 250,00 sino a 600,00 Euro). Al contempo, nessuna compensazione pecuniaria è dovuta se il vettore aereo dimostra, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 3, del Regolamento (CE) n. 261/2004, che il ritardo prolungato o la cancellazione siano dovuti a circostanze eccezionali, ovverosia quelle situazioni che non si sarebbero potute evitare nemmeno se fossero state adottate tutte le misure del caso, avvalendosi di tutti i mezzi disponibili, in termini di personale, di materiale e di risorse finanziarie.

Compiuta tale debita premessa e venendo alla pronuncia oggi in esame, la Corte di Giustizia ha stabilito che nel caso in cui si verifichi un guasto generalizzato al sistema di rifornimento del carburante dell’aeroporto di origine del volo o dell’aereo, che comporti un ritardo del volo superiore a tre ore o la cancellazione del volo, si configura la c.d. “circostanza eccezionale” prevista dal Regolamento CE n. 261/2004. Pertanto, in tali casi nessuna compensazione pecuniaria è dovuta al passeggero.

La Corte arriva a tale decisione partendo dalla considerazione che tale tipologia di guasto è da considerarsi un evento la cui origine è esterna al vettore aereo e di conseguenza, sfugge al suo effettivo controllo. 

Difatti, in linea di principio le operazioni di rifornimento di carburante, essendo indispensabili per il trasporto aereo dei passeggeri, costituiscono eventi inerenti al normale esercizio dell’attività stessa di trasporto (Cfr. CGUE, sentenza 4 aprile 2019, C‑501/17) e nel caso di problematiche il passeggero ha diritto alla compensazione pecuniaria. Viceversa, se il problema è il risultato di un guasto generalizzato nel sistema di rifornimento gestito dall’aeroporto, questo non può essere considerato intrinsecamente legato al funzionamento dell’aeromobile che avrebbe dovuto effettuare il volo cancellato o ritardato e pertanto, tale evento costituisce una c.d. circostanze eccezionale in quanto di origine esterna e che sfugge completamente al controllo effettivo del vettore aereo interessato.

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ANNULLAMENTO MULTE PER ATTRAVERSAMENTO CON IL SEMAFORO ROSSO.

Giudice di Pace di Rho, sentenza del 15 giugno 2022 – Giudice di Pace di Torino, sentenza del 23 giugno 2022

 Al fine di comprendere la portata delle sentenze in esame, occorre ricordare quanto previsto dall’art. 146 del Codice della Strada, il quale stabilisce che: “(…) il conducente del veicolo che prosegue la marcia, nonostante che le segnalazioni del semaforo o dell’agente del traffico vietino la marcia stessa, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 167 a € 665. Quando lo stesso soggetto sia incorso, in un periodo di due anni, in una delle violazioni di cui al comma 3 per almeno due volte, all’ultima infrazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da uno a tre mesi (…)”.

La prima sentenza accoglie il ricorso presentato da un automobilista poiché, secondo l’Organo Giudicante, sarebbe mancata la prova effettiva della commissione della contestata violazione: i fotogrammi dell’apparecchiatura V-Red 2.1-1 che avrebbe rilevato l’infrazione non evidenziavano in maniera chiara ed inequivocabile che la violazione fosse stata commessa da quella specifica vettura nello specifico luogo indicato.

Al fine di una valida contestazione dell’infrazione, come prescritto dal D.M. n. 49463/2007, è necessario che dall’esame della documentazione fotografica sia visibile la targa completa del veicolo e che si evinca esattamente la presenza della detta vettura nel contesto spaziale in cui si sarebbe verificata la violazione. Da ciò ne consegue che se è visibile solo la targa della vettura e non la contestuale raffigurazione della lanterna semaforica o, viceversa, nella raffigurazione dell’area di intersezione non sia chiaramente leggibile la targa, non vi è la prova effettiva che il veicolo non si sia arrestato con la lanterna semaforica indicante il rosso. Per tale motivo, è necessario che vengano scattati sempre almeno due fotogrammi: uno che rilevi il superamento della linea d’arresto e l’altro che individui il veicolo mentre si trova al centro dell’intersezione controllata. Oltre ciò, i detti fotogrammi devono riportare in sovrimpressione la località dell’infrazione, la data, l’ora ed il tempo trascorso dall’inizio della fase di rosso.

In tutti i casi in cui non siano ravvisabili gli elementi sopra indicati e/o indicati solo parzialmente la sanzione dovrà considerarsi illegittima poiché non sarà possibile effettivamente ricollegare il veicolo raffigurato nei fotogrammi alla contestata infrazione. 

 

La seconda sentenza oggi in esame, emessa dal Giudice di Pace di Torino, pur con motivazioni differenti, giunge alle medesime conclusioni. L’art. 146, comma 2, C.d.S., sanziona tutti i comportamenti non conformi alla segnaletica stradale, mentre l’art. 147 C.d.S. prevede che le lanterne semaforiche di corsia siano apposte in presenza di strade che presentano più corsie – in modo da consentire al guidatore la preselezione della corsia e l’attestamento in prossimità di una intersezione – e che tali corsie siano contrassegnate da frecce direzionali.

La ratio di tale statuizione risiede nella necessità per il guidatore di avere una adeguata e corretta cognizione della presenza delle corsie di canalizzazione del flusso veicolare e che gli sia consentito, in un lasso di tempo sufficiente, di poter adeguatamente scegliere la corsia da occupare.

In linea di principio, nei casi in cui la freccia veicolare per la marcia diritta è verde ed un veicolo oltrepassa la linea d’arresto proseguendo diritto, il conducente non pone in essere alcuna infrazione atteso che ai sensi dell’art. 41 comma 9 C.d.S. durante il periodo di accensione della luce verde i veicoli possono procedere verso tutte le direzioni consentite dalla segnaletica verticale ed orizzontale. Nel caso in esame dalla documentazione fotografica era emerso che il trasgressore, nonostante stesse percorrendo la corsia di canalizzazione riservata ai veicoli diretti a sinistra per i quali era accesa la luce rossa, in realtà proseguiva diritto, corsia per la quale il semaforo era verde. Orbene, i fotogrammi non davano la certezza della presenza della necessaria segnaletica, tanto orizzontale, quanto verticale, non consentendo di dar prova dell’illecito contestato al presunto trasgressore, con conseguente annullamento del verbale impugnato.

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AL MARITO SPETTA UN MANTENIMENTO PIÙ ELEVATO SE LA MOGLIE HA UNA MAGGIORE DISPONIBILITÀ ECONOMICA.

Corte di Cassazione, sentenza n. 26890/2022

La Suprema Corte si è recentemente occupata del caso riguardante un uomo che, per dedicarsi alle cure del figlio affetto da handicap e per gestire il patrimonio immobiliare della moglie, aveva rinunciato alla propria carriera professionale. In seguito alla separazione dei due coniugi l’uomo aveva riscontrato una forte difficoltà a trovare un impiego ed una abitazione, anche alla luce dell’età avanzata.

Orbene, gli Ermellini, investiti della decisione hanno ribadito due principi ormai consolidati:

– la separazione, a differenza del divorzio, non recide il vincolo del matrimonio e che permangono in capo ai coniugi i doveri di assistenza morale e materiale;

in assenza di addebito, il criterio di quantificazione dell’assegno versato all’altro coniuge deve tener conto dei redditi dei due coniugi e deve consentire al beneficiario di poter condurre un tenore di vita pari a quello tenuto in costanza di matrimonio.

Nel caso di specie, avendo la moglie redditi elevati derivanti da lavoro autonomo e da altre rendite esterne è evidente che il mantenimento per il marito non ha rispettato i suindicati parametri, tanto più che, a fronte della situazione di difficoltà dell’uomo, la donna poteva contare su risorse ben più elevate.

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SUSSISTE LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO PER OMICIDIO COLPOSO NEL CASO DI RITARDO NEGLI ESAMI DIAGNOSTICI.

Corte di Cassazione, sentenza n. 32870/2022 

Il medico che trascura le problematiche e le patologie del paziente ricoverato in pronto soccorso e che non esegue i necessari accertamenti clinici risponde del reato di omicidio colposo per grave imperizia e imprudenza nella propria condotta. La Suprema Corte è addivenuta a tale decisione nel caso di un medico che non valutava adeguatamente i sintomi di un soggetto vittima di un trauma cranico, effettuava solo tre ore dopo l’ingresso al pronto soccorso l’esame TAC e non procedeva con la somministrazione di una adeguata terapia, tutte operazioni che avrebbero potuto evitare con alta probabilità l’evento morte.

Orbene, in tutti quei casi in cui si rileva che la condotta omissiva del medico incide sulla sopravvivenza del paziente – ovverosia che se fossero state assunte tutte le prescrizioni l’evento non si sarebbe verificato ovvero lo stesso si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative – il ritardo della prestazione e l’omesso approccio terapeutico configurano la responsabilità del medico incaricato.

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IL GENITORE COLLOCATARIO NON DEVE OSTACOLARE IL RAPPORTO TRA I FIGLI E L’ALTRO CONIUGE.

Corte di Cassazione, sentenza n. 26352/2022

Nel caso di affido condiviso dei figli, con collocazione prevalente presso la madre, quest’ultima non può ostacolare negli anni il diritto di visita del padre, soprattutto nell’eventualità che sia disposto anche un percorso di ravvicinamento dei minori al padre, con il supporto dei servizi sociali.

La Cassazione nel rigettare le doglianze della madre afferma che nei casi in cui, nonostante sia acclarato un deficit delle capacità paterne che richieda la collocazione preferenziale dei figli presso la madre, tutte le condotte impeditive dei rapporti padre/figli devono fondarsi sull’accertamento dei solo fatti concretamente appurabili e non anche su teorie e congetture dell’altro genitore, posto il fatto che il genitore collocatario può esercitare più liberamente il proprio ruolo genitoriale.

Allo stesso modo, non può essere considerata una discriminante l’intervento dei servizi sociali, anzi, specifica la Corte, il loro intervento risulta necessario per assicurare al minore la possibilità di esercitare il proprio diritto alla bigenitorialità.

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CARTELLA DI PAGAMENTO: GLI INTERESSI RICHIESTI PER RITARDATO PAGAMENTO NECESSITANO DELL’OBBLIGO DI INDICAZIONE DELLA MOTIVAZIONE.

Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 22281/2022

Le Sezioni Unite intervengono sul dibattuto tema inerente all’obbligo di motivazione della cartella di pagamento relativamente agli interessi richiesti per ritardato pagamento dei tributi. Orbene, la Suprema Corte ha affermato a chiare lettere che:

– se la cartella viene emessa successivamente all’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito e gli interessi relativi, è sufficiente che la richiesta del pagamento di ulteriori interessi maturati nelle more sia motivata, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990, attraverso il richiamo all’atto precedente con la quantificazione dei nuovi importi;

– nel caso in cui la cartella costituisca, invece, la prima richiesta di pagamento degli interessi, al fine di soddisfare gli obblighi di motivazione, la stessa deve perentoriamente indicare l’importo monetario, la base normativa degli interessi e la decorrenza degli stessi (senza necessariamente indicare i singoli saggi periodicamente applicati).

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ILLEGITTIME LE FERIE FORZATE IMPOSTE AL LAVORATORE.

Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ordinanza n. 24977/2022

La Suprema Corte di Cassazione, investita sul tema, ha stabilito che al fine di dichiarare la legittimità o meno delle ferie e del loro godimento occorre valutare le necessità soggettive, sia del datore di lavoro (che ha l’esigenza di organizzarle secondo le esigenze aziendali) e sia del lavoratore (che ha il diritto di usufruire del necessario riposo al fine di recuperare le energie psicofisiche)

Nel caso in esame, gli Ermellini, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio, ha stabilito che il collocamento forzoso in ferie dei propri dipendenti risulta affetto da illegittimità in quanto sono stati violati i suddetti parametri anche alla luce del fatto che gli stessi avevano appreso solo casualmente e successivamente, da un controllo delle relative buste paga, di essere stati posti forzosamente in ferie.