LA CONVIVENZA PREMATRIMONIALE RIENTRA NEL CALCOLO DELL’ASSEGNO DIVORZILE.

Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 35385/2023

La Suprema Corte ha ritenuto che ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile occorre esaminare nel caso concreto se vi sia una relazione di continuità tra la fase di «fatto» della convivenza e la successiva fase «giuridica» del vincolo matrimoniale. Orbene, nel caso emerga l’inesistenza di una qualsivoglia soluzione di continuità, nel conteggio dell’assegno di mantenimento andrà, quindi, computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale.

Occorrerà, quindi, “(…) vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio (…)”.

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NESSUN MANTENIMENTO AL CONIUGE CHE HA INSTAURATO UNA NUOVA CONVIVENZA DURANTE LA SEPARAZIONE.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 34278/2023

La questione sottoposta all’esame della Corte di Cassazione riguardava una separazione con cui veniva revocato l’assegno di mantenimento posto a carico del marito in favore della moglie, avendo il Giudice accertato che quest’ultima aveva instaurato una nuova relazione affettiva.

Sul punto la Corte ha richiamato un consolidato orientamento secondo cui occorre preventivamente accertare che si tratti di una relazione non solo affettiva ma di un rapporto stabile e continuativo, ispirato al modello solidale che connota il matrimonio, che non necessariamente deve sfociare in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner. In tali casi, pertanto, discendendo da tale relazione le inevitabili reciproche contribuzioni economiche, verrebbe meno la componente assistenziale all’assegno divorzile.

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NON RISPONDE DI FAVOREGGIAMENTO CHI AFFITTA UN IMMOBILE OVE SI ESERCITA LA PROSTITUZIONE

Tribunale di Brindisi, sez. penale, sentenza n. 1982/2023 

Il Tribunale ha stabilito la non configurabilità della responsabilità penale con la formula “il fatto non sussiste” in capo al proprietario di una abitazione per aver lo stesso concessola in locazione due unità abitative di sua proprietà a persone che esercitavano l’attività di prostituzione.

Nel caso in esame, non era stato possibile inquadrare la fattispecie nel delitto previsto dall’art. 3 n. 2 della L. 20 febbraio 1958 n. 75 che punisce “chiunque avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione”. Difatti, nel corso del processo è stato provato che l’imputato non fosse a conoscenza dell’attività esercitata e che, comunque ed indipendentemente dalla conoscenza, l’uomo non dovesse e non potesse rispondere penalmente per il sol fatto della locazione e della eventuale consapevolezza dell’attività di meretricio essendosi limitato alla concessione in locazione dell’immobile.

Ed infatti, “per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nei numeri 1 e 2 dell’art. 3 della L. 20 febbraio 1958 n. 75 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio. Il reato di chi, avendo la proprietà e l’amministrazione di una casa, la concede in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione non sussiste, pertanto, quando il locatore conceda in locazione l’immobile ad una sola donna, pur essendo consapevole che la locataria è una prostituta, e che eserciterà nella casa locata autonomamente e per conto proprio.

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LE COMPAGNIE NON POSSONO ADDEBITARE AL CLIENTE LE SPESE POSTALI DELLE BOLLETTE.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 34800/2023

La Suprema Corte ha stabilito che gli operatori telefonici devono obbligatoriamente offrire ai propri clienti le modalità alternative di recapito delle bollette rispetto all’invio postale delle stesse (e-mail, app, etc.). In caso tale possibilità non sia stata comunicata, non potranno ricadere sull’utente le relative spese di spedizione, con conseguente inefficacia della relativa clausola.