Sentenza

Decesso parte venditrice dopo sottoscrizione atto preliminare di compravendita, come fare per rogitare l’atto definitivo?

La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25396 del 29 agosto 2023, ha affrontato il tema sopra indicato.

Nello specifico, la Signora Caia, dopo aver stipulato l’atto preliminare di compravendita con la figlia Mevia è deceduta. 

Orbene, Sempronio, anch’egli figlio della Signora Caia, ha vocato in causa i suoi fratelli, i Signori Tizio e Mevia, in quanto avevano compravenduto l’immobile oggetto del contratto preliminare senza il suo consenso, ossia senza la sua presenza.

In primo grado, il Tribunale adito ha accolto le istanze dell’attore Signor Sempronio, mentre la Corte di Appello adita accoglieva il gravame dichiarando valido ed efficace il contratto di compravendita avendo ritenuto vincolante la decisione assunta dalla de cuis.

Il Signor Sempronio, quindi, ricorreva in Cassazione ed i Giudici Ermellini accoglievano il suo ricorso.

La Seconda Sezione Civile, infatti, ha motivato l’accoglimento del ricorso rifacendosi ai numerosi precedenti in materia, e in particolare ha specificato che: “(…) “la promessa di vendita di un bene oggetto di comunione (e considerato dalle parti come un ‘unicum’ inscindibile) ha, come suo contenuto, una obbligazione indivisibile, così che l’adempimento e l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 2932 c.c.) devono essere richiesti nei confronti di tutti i promittenti venditori, configurandosi, nella specie, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, attesa l’impossibilità che gli effetti del contratto non concluso si producano nei riguardi di alcuni soltanto dei soggetti del preliminare” (Cass. n. 1050/1999; conf. Cass. n. 6162/2006; Cass. n. 5125/2019). (…)”

I Giudici incaricati di dirimere detta controversia hanno ritenuto assolutamente aderente l’indicata giurisprudenza, infatti l’immobile oggetto del contratto preliminare, ancora di proprietà della mamma dell’attore originario all’atto del suo decesso, è entrato nell’asse ereditario, cadendo in successione e dunque in comunione ereditaria pro-indiviso.

Conseguentemente, i coeredi hanno acquistato ciascuno la quota di loro spettanza, subentrando anche nell’obbligo di stipulare il contratto definitivo.

Inoltre, ed in conclusione, gli Ermellini hanno altresì specificato che: “(…) Se è vero che l’obbligazione di trasferire la proprietà di un immobile oggetto di comunione, considerato come unicum inscindibile, con la pattuizione di un solo prezzo, dà luogo all’indivisibilità dell’obbligazione, è altrettanto vero che da tale affermazione non possono derivare le conseguenze che ne ha tratto il giudice di seconde cure, ossia l’irrilevanza della mancanza di partecipazione di un coerede all’atto, stante la natura obbligatoria del preliminare e l’estensione al suo adempimento, tramite l’esecuzione dell’obbligo a contrarre, della disciplina delle obbligazioni solidali.

La prestazione di trasferire la proprietà di un bene in comproprietà non è stata infatti considerata avente natura solidale ma collettiva, “non potendo operare il principio stabilito dall’art. 1292 c.c., secondo cui ciascuno degli obbligati in solido può adempiere per l’intero e l’adempimento dell’uno libera gli altri, atteso che i promittenti sono in grado di manifestare il consenso relativo alla propria quota e non quello concernente le quote spettanti agli altri” (Cass. n. 2613/2021). (…)”.

Pertanto, alla luce di quanto sopra espresso, si potrà asserire che se il promittente venditore di un immobile muore dopo la stipula del contratto preliminare, per la stipula dell’atto definitivo è necessaria la partecipazione di tutti gli eredi, pena la nullità dello stesso.

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Su quali motivi si fonda l’attribuzione dell’assegno divorzile?

La giurisprudenza di legittimità, è tornata ad esprimersi in ordine all’assegno divorzile, in particolare sulle ragioni su cui si fonda detta attribuzione.

Infatti, con la pronuncia del 4 ottobre 2023, la numero 27945, la I Sezione Civile ha chiarito che: “(…) Ai fini dell’attribuzione dell’assegno divorzile, non rilevano le ragioni della scelta del coniuge di dedicarsi alla famiglia a scapito degli impegni o delle occasioni professionali, ma solo il fatto oggettivo del sacrificio dell’attività lavorativa. Ciò che deve essere dimostrato, dunque, è che il coniuge economicamente più debole abbia sacrificato occasioni lavorative o di crescita professionale per dedicarsi alla famiglia, senza che sia necessario indagare sulle motivazioni strettamente individuali ed eventualmente intime che hanno portato a compiere tale scelta, che, comunque, è stata accettata e, quindi, condivisa dal coniuge. (…)”.

Da quanto indicato, quindi, si deduce che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile ciò che deve essere dimostrato è il sacrificio della propria carriera lavorativa in funzione della famiglia, ovvero la scelta del coniuge di dedicarsi alla famiglia, a nulla rilevando eventuali motivazioni prettamente individuali e intime che hanno condotto a compiere detta scelta. 

Per cui, ciò che deve essere dimostrato, è soltanto che l’ex coniuge ha effettivamente fornito il suo contributo personale alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di quello personale dell’altro coniuge, a scapito del tempo e delle energie che avrebbe potuto dedicare al lavoro o alla sua carriera.

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la condanna ai sensi dell’art.2932 c.c.: “(…) esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto (…)”, non contiene in sé la condanna al rilascio dell’immobile

La Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia del 5 settembre 2023, n. 25941 ha emesso il seguente principio: “(…) Non può sostenersi che alla pronuncia resa ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. acceda sempre ed automaticamente una statuizione di condanna al rilascio, viepiù quando neppure risulta che questa sia stata apertamente richiesta dalla parte (…)”.

I Giudici della III Sezione Civile, hanno dichiarato che in caso di mancata esplicita condanna al rilascio deve escludersi una condanna implicita, desumibile dalla funzione della decisione.

È stato inoltre specificato che la sentenza di accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c., deve riprodurre, in luogo del contratto definitivo non concluso, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare. 

Pertanto essa realizza una modificazione della situazione giuridica esistente inter partes e, come tale, ha natura e funzione di statuizione costitutiva, distinguendosi dalle eventuali statuizioni accessorie di condanna dispositive dell’adempimento delle prestazioni a carico delle parti, tra cui quella di consegna o rilascio

Conseguentemente, non può sostenersi che alla pronuncia ex art. 2932 c.c. acceda sempre ed automaticamente una statuizione di condanna al rilascio, soprattutto quando neppure risulta che questa sia stata apertamente richiesta dalla parte.

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Spese di ristrutturazioni dei balconi aggettanti.

Le spese di balconi aggettanti sono poste a carico esclusivamente del proprietario dell’appartamento, infatti, la Giurisprudenza è univoca nell’asserire che detti balconi sono un mero prolungamento dell’appartamento e non hanno alcuna una funzione strutturale per il condominio.

L’unico caso per il quale la ripartizione della ristrutturazione dei balconi in parola viene imputata a tutti i condomini, quindi anche a quelli che non hanno un balcone proprio, è quando l’intervento ha ad oggetto delle parti che sono considerate elementi estetici, come ad esempio i frontalini, ringhiere di pregio, mattonelle decorative.

La II Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 135029 del 27 luglio 2012, ha confermato che: “(…) I balconi “aggettanti” costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio – come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio – non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell’art. 1125 c.c. I balconi “aggettanti”, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono. (…)”.