quando è possibile rinunciare alla indennità da perdita dell’avviamento.

L’argomento in oggetto prende le mosse dall’art. 79 della legge 392 del 1978, il quale sancisce l’espressa nullità di qualsivoglia tipo di clausola inserita nel contratto di locazione commerciale volta ad eliminare il pagamento dell’indennità da perdita di avviamento dell’attività in favore del conduttore.

L’articolo in parola, al primo comma, prevede che: “(…) È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. (…)”.

Il conduttore, infatti, rappresenta la parte debole nel momento in cui si stipula il contratto di locazione commerciale. Conseguentemente, il medesimo, in sede di sottoscrizione del contratto, non può in alcun modo rinunciare all’indennità, ovvero al pagamento di 18 mensilità del canone di locazione per le attività industriali, commerciali e artigianali e 21 mensilità del canone di locazione per le attività alberghiere, salvo che l’accordo venga perfezionato successivamente.

Invero, successivamente al perfezionamento del contratto commerciale il conduttore non si trova più in una posizione di debolezza legata al timore di essere costretto a dover abbandonare l’immobile dove svolge l’attività commerciale; per cui in tale momento vi è la possibilità per le parti di negoziare in ordine ai diritti nascenti dal contratto e in particolare in ordine al diritto all’indennità di avviamento.

Alla luce di quanto sopra, si deduce come l’art. 79 della legge 392 del 1978 abbia la funzione di tutelare il conduttore al momento del perfezionamento dell’accordo, mentre per la successiva fase non impedisce un diverso patto conciliativo tra le parti.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità è granitica nell’affermare che: “(…) secondo principio ormai acquisito nella più recente giurisprudenza di questa Corte, “la L. 27 luglio 1978, n. 392art. 79, il quale sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, purché ciò avvenga successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che il conduttore si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata (…)” (Cass. n. 15373 del 13/06/2018n. 24221 del 30/09/2019n. 12405 del 24/06/2020n. 18324 del 07/06/2022n. 22826 del 21/07/2022; n. 4947 del 16/02/2023). 

Per cui, in virtù di quanto sopra, si evince come ove il locatore ed il conduttore vogliano disciplinare l’indennità da perdita dell’avviamento potranno validamente farlo unicamente post conclusione del contratto locativo.

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Lavori messa in sicurezza Condominio.

La necessità di mettere in sicurezza il Condominio sorge ogniqualvolta vi sia un fondato pericolo di cagionare un danno alle persone o cose, si pensi al caso in cui cada una parte di intonaco.

Nel caso in cui la citata parte di intonaco dovesse colpire una persona o danneggiare delle cose, il Condominio ne risulterebbe direttamente responsabile e, in caso di negligenza da parte dell’Amministratore dello stabile, il medesimo ne risponderebbe nei confronti del Condominio.

Chiaramente rientrano nella categoria dei lavori urgenti tutti quei lavori che devono essere adempiuti con particolare celerità. Pertanto, in questa categoria, rientrano senza ombra di dubbio i lavori di messa in sicurezza.

Orbene, quando i lavori di messa in sicurezza devono esser effettuati con la massima urgenza gli stessi possono essere eseguiti anche senza una preventiva autorizzazione della assemblea.

La normativa di settore, all’art. 1135, secondo comma, cod. civ., prevede che l’amministratore possa, ed anzi debba, autorizzare i lavori di straordinaria amministrazione purché abbiano carattere di urgenza, in questo caso il medesimo è tenuto a rappresentare l’accaduto ai condomini alla prima assemblea.

Per meglio chiarire, a titolo semplificativo si indica la sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 17 maggio 2019, la quale ha statuito la legittimità del comportamento dell’Amministratore il quale, in seguito alla caduta di calcinacci sulla pubblica via, ha incaricato un’impresa di procedere con urgenza alla demolizione degli intonaci e dei cementi decorativi pericolanti.

Relativamente alla ripartizione delle spese, la Giurisprudenza di legittimità è concorde nell’asserire che se sono inerenti alla conservazione ed al godimento nonché per evitare una situazione di pericolo per la privata incolumità di tutti i condomini, le stesse dovranno essere ripartite tra tutti i condòmini secondo il criterio ordinario delle quote millesimali (cfr. Cass., ord. n. 6292 del 4 marzo 2019).

Da quanto appena asserito, pertanto si deduce che le spese dovranno essere ripartite tra tutti i condomini solo se i lavori hanno ad oggetto parti comuni dell’edificio, viceversa se, ad esempio, hanno ad oggetto un unico balcone il quale non ha dei rivestimenti esterni od elementi decorativi i quali contribuiscono all’estetica dello stabile, aumentando il valore dell’edificio e dei singoli appartamenti, le spese graveranno unicamente sul condominio proprietario del balcone.

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diritto alla provvigione agente immobiliare in caso di mancato perfezionamento dell’affare responsabilità del venditore.

La Suprema Corte di Cassazione con la pronuncia n. 19565 del 18 settembre 2020, ha ribadito che si presume vessatoria, e quindi non efficace ex art. 1469 bis c.c., la clausola che attribuisce al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di mancato perfezionamento dell’affare, ovvero della compravendita o locazione, per causa imputabile al venditore (o locatore) ogni qual volta le parti non abbiano esplicitamente concordato l’importo all’effettiva attività compiuta dall’agente immobiliare. 

Nello specifico i Giudici Ermellini hanno chiarito che: “(…) La clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso di mancata effettuazione dell’affare per fatto imputabile al venditore può presumersi vessatoria, e quindi inefficace a norma dell’art. 1469-bis c.c., se le parti non abbiano espressamente pattuito un meccanismo di adeguamento di tale importo all’attività sino a quel momento concretamente espletata dal mediatore. Il compenso del mediatore, in caso di mancata conclusione dell’affare, trova giustificazione nello svolgimento di una concreta attività di ricerca di terzi interessati all’affare, attraverso la predisposizione dei propri mezzi e della propria organizzazione. (…)”.

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Quando il condomino può distaccarsi dall’impianto di riscaldamento centralizzato.

Il condomino può distaccarsi dall’impianto di centralizzato del Condominio purché ciò non comporti un aggravio di spese, ovvero un danno al Condominio stesso.

Sul punto, l’art. 1118 c.c., al 3° comma prevede che: “(…) Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma (…)”.

Pertanto, se vengono rispettati i dettami di cui sopra, il condomino che voglia avere il proprio impianto di riscaldamento autonomo potrà procedere senza alcun impedimento.

Infatti, l’eventuale delibera assembleare che impedisca il distacco è da ritenersi illegittima (cfr. Cass., sent. n. 18131 del 31 agosto 2020) e neppure il regolamento di condominio potrà ostacolare il distacco al condomino, neanche qualora abbia natura contrattuale (cfr. Cass., sent. n. 32441 dell’11 dicembre 2019).

L’unico onere che rimarrà in capo al condomino, che si sarà distaccato, sarà il pagamento delle spese inerenti la manutenzione straordinaria, di conservazione nonché anche il consumo involontario. 

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L’immobile con abuso edilizio è compravendibile?

A questo quesito ha risposto positivamente la Corte di Cassazione a Sezione Unite con la sentenza del 22 marzo 2019 n. 8230.

In particolare, ha avuto modo di chiarire che l’abuso edilizio non ferma la compravendita specificando che la commerciabilità di un edificio è compromessa solo se si tratti di un manufatto costruito in completa assenza di un titolo edilizio.

Se, invece, un titolo edilizio è stato rilasciato, e del rilascio il Notaio ne fa menzione nel contratto di compravendita, il contratto è valido anche se la costruzione è stata realizzata in difformità rispetto al titolo edilizio.

Per cui, in presenza di una dichiarazione del venditore circa gli estremi di un titolo edilizio effettivamente esistente, il contratto: “(…) è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (…)” (Cass. Civ. Sez. Un. n. 8230 del 22 marzo 2019).